GIOCHI TRADIZIONALI SALENTINI

Premessa

   Il progresso tecnologico galoppante degli ultimi quarant’anni ha modificato gli interessi dei giovani, i giochi tradizionali che fino agli anni ’70 del secolo scorso, sono stati i padroni del tempo libero dei ragazzi, oggi rischiano di essere dimenticati, e sconosciuti alle nuove generazioni. Questa nuova rubrica nasce per far conoscere ai più giovani e ricordare ai più grandi, i giochi più usati nella tradizione carpignanese. Noi vi consigliamo anche di tornare ad usarli.

La pagina sarà in continua evoluzione, in quanto la nostra ricerca va avanti. Pertanto vi consigliamo di seguirla. Un grosso grazie va a Francesco de Maglie per il suo supporto e per aver messo a disposizione le proprie ricerche.

Buon divertimento.

Cuntrici... un gioco dimenticato

Da origini antichissime (è stato ritrovato nella tomba del faraone Tutankhamon e raffigurato in affreschi romani), il gioco degli aliossi fu introdotto nelle nostre zone dai bizantini. Gioco da cui forse si generò quello dei dadi, si esegue con l’astragalo (dal greco ἀστράγαλς: astrágals, che nella lingua omerica significa "vertebra") osso presente nel ginocchio posteriore dei quatrupedi, nel gioco sono usati quelli dell'agnello, per le dimensioni. Geometricamente ha la forma del parallelepipedo irregolare; i suoi sei lati hanno differenti dimensioni e forme. I due lati più grandi presentano rispettivamente una faccia concava ed una convessa; i due lati medi una faccia quasi piatta e l’altra leggermente concava. I due lati più piccoli, quasi eguali, sono entrambi pronunciatamente tondeggianti.

Nel Salento (in tutto il territorio) dialettalmente “astragalo” si traduce in “CUNTRICE”, mentre il nome del gioco “aliossi”, nel territorio carpignanese, mantiene lo stesso nome degli ossicini, “CUNTRICI”, mentre nella zona del Capo di Leuca cambia in “BALLICI”. Gioco dalle numerose varianti, era praticato, oltre che dai bambini, anche dagli adulti spesso come gioco d’azzardo; ormai nel nostro territorio è quasi del tutto scomparso.

Il nostro gioco dei “cuntrici”, si esegue preferibilmente con tre giocatori e si svolge usando tre cuntrici esclusivamente d’agnello. Stringendo il pugno della mano e posizionando il pollice sotto l’indice, sollevando energicamente tale dito, si fa saltare in aria un cuntrice precedentemente posizionato sopra ad esso (uguale gesto che si compie per il lancio della monetina); in contemporanea, prima che questi cada sul piano da gioco, si apre il palmo della mano facendo cadere gli altri due cuntrici che precedentemente si sono messi nel pugno della mano.

Esaminando il lato superiore dei tre cuntrici, dalle varie combinazioni si possono ottenere vari punteggi. I lati più piccoli, essendo tondeggianti, non si presentano mai superiormente e quindi non sono presi in considerazione nel gioco.

In seguito gli ossicini furono sostituiti da pietre di piccole dimensioni dette “pituddhri”, da cui il nome del nuovo gioco sancito da regole completamente differenti: “TUDDHRI”, gioco che tra i giovani fu molto diffuso sino agli anni Sessanta dello scorso secolo.

A cura di Francesco de Maglie

Tuddhri

Il gioco de “li tuddhri” è forse il gioco tradizionale tra i più ricordati, si giocava ancora fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Si giocava con cinque sassolini reperiti in strada, scelti tra i più tondi, della grandezza di una nocciola, si portavano in tasca sempre a portata di mano.

Il gioco si sviluppava in diverse fasi. Si cominciava con tutti i sassolini a terra, se ne doveva prendere uno senza toccare gli altri, lanciarlo in aria e, mentre quello era in volo, si doveva riuscire a prendere un secondo sassolino, riprendendo poi anche l’altro prima che ricadesse per terra. A questo punto si proseguiva allo stesso modo fino ad avere in mano, se si riusciva, tutti e cinque i sassolini.

Nelle fasi successive cambiavano le combinazioni: si dovevano quindi prendere al volo i sassolini con le combinazioni 2-2-1, 1-3-1, 1-4, fino a lanciarli tutti in aria cercando di riprenderne il più possibile in mano. Ad ogni errore si passava il turno all’avversario. Ad ogni turno, i sassolini che si riuscivano a portare in mano costituivano il proprio punteggio che si sommava a quello dei turni successivi. Dopo il turno finale, si decretava il vincitore.

L’ultima fase era la più difficile e richiedeva doti di manualità e velocità che solo i giocatori più esperti possedevano. In questa fase il giocatore formava un arco poggiando a terra il pollice e l’indice della mano. Dopo aver lanciato un sasso in aria, il giocatore tentava di far passare uno dei sassi in terra attraverso l’arco per poi riprendere al volo il sasso lanciato in aria. L’operazione veniva ripetuta per tutti i rimanenti sassi in terra.

Antonio D'Ostuni

Lu Curuddhru

Curuddhru deriva dalla forma tardo-latina currulus, che si rifà al verbo curro e sta a significare una cosa che corre, che scappa, che ti sfugge di mano. Nel nostro vernacolo “curuddhrare” significa “roteare” per cui “lu curuddhru”, antenato della trottola, è un giocattolo che volteggia.

Di legno, ha forma conica al cui apice, realizzato con un chiodo, vi è una punta metallica. A questa trottola il moto rotatorio, “lu fitare” (da φοιτάω: foitáo vado qua e là, avanti e indietro, giro...), il giocatore lo imprime mediante una funicella che viene avvolta intorno al giocattolo dal basso verso l’alto: lanciando “lu curuddhru” e, in contemporanea, tirando la funicella, si trasmette una forza rotante alla trottola che, mantenendosi in equilibrio sulla sua punta metallica, compirà il moto rotatorio trasmessogli.

Nel gioco si hanno due differenti tempistiche:

Prima fase (si può eseguire da uno a più partecipanti) detta “a suttamanu”. Gettando a turno “lu curuddhru” in uno spazio di gioco predefinito, lo si deve far ruotare per un tempo maggiore rispetto a quello degli altri giocatori senza che, pena squalificazione, questi esca dallo spazio concordato.

Seconda fase (da eseguirsi solo in due concorrenti) detta “a morte”. Lancia per primo il suo “curuddhru” il giocatore che ha perso nella precedente fase. Immediatamente dopo, quando questo ancora ruota, il giocatore che ha vinto in precedenza, lancia la sua trottola, dall’alto con un tiro chiamato “subbramanu”, cercando di colpire quella avversaria al fine di arrestarne il suo movimento e, così, aggiudicarsi la vittoria. Se il tentativo d’arresto fallisce ed entrambi i “curuddhri” ancora “fitane”,  il primo giocatore ha una possibilità di rivincita: prendendo sul suo palmo della mano la sua trottola, la lancia su quella avversaria tentando di fermarla ed aggiudicarsi la vittoria. Per compiere questo tentativo d’arresto, il giocatore deve adagiare il dorso della mano sul terreno di gioco; previo divaricazione del dito indice e medio,si crea un corridoio d’invito alla trottola che, sempre se ruota con intensità, salirà (nel punto d’innesto delle due dita con la mano) sul palmo della mano dove deve continuare il suo movimento prima d’esser lanciata sul “curuddhru” avversario.

Il secondo tempo di gioco viene definito “a morte” perché il secondo giocatore, nel colpire con violenza la trottola avversaria, spesso, se quest’ultima presenta delle lesioni o è fatta con un legno morbido, subendo la “pizzogna” (il colpo inferto con la punta metallica del giocattolo viene paragonato ad una beccata d’uccello detta appunto “pizzogna”) si rompe causando al rivale, oltre che la perdita della partita, la perdita del giocattolo.

Quando l’adolescente commissionava ad un maestro d’ascia il suo “curuddhru”, doveva portargli il pezzo di legno, preferibilmente d’ulivo, da cui farlo realizzare. Il committente, se aveva la disponibilità di affrontare un costo maggiore, sceglieva un pezzo di legno con presenza di noduli “taccaru nnuticusu” (punto di attacco di precedenti rami su quel tratto di tronco) perché più duro e quindi, sottoposto ad eventuali “pizzogne”, il suo “curuddhru” non si sarebbe rotto ma, tuttalpiù, avrebbe riportato, senza recar lesioni, degli intacchi. Come per un soldato esibire le cicatrici delle ferite subite senza gravi conseguenze in precedenti combattimenti, dona un senso di forza, anche il possedere un “curuddhru” con traccie di subite “pizzogne” da parte di questi era motivo di vanto: “Cuarda quante pizzogne tene lu curuddhru meu!” (Guarda quanti intacchi ha la mia trottola!).

Antonio D'Ostuni

Mare Terra

È un gioco di resistenza prettamente maschile. Si esegue tra due squadre composta da circa sei persone, la squadra “te susu” (i vincenti) e la squadra “te sutta” (i perdenti). Dopo aver sorteggiato per chi inizierà il gioco ricoprendo la postazione perdente,  la squadra “te sutta” si dispone nel seguente modo: uno di loro, in genere il più gracile, detto “la mamma”, si posiziona in piedi con la schiena contro un muro. Gli altri componenti, rivolti verso “la mamma”,  si allineano e, curvando la schiena, si ancorano con le propria braccia al compagno precedente ed in contemporanea con esse si ripararsi la propria testa. I componenti più alti si posiziona per ultimi per rendere più difficile il salto che compiranno i loro avversari.

Al “VIA”, uno alla volta, parte la squadra “te susu”; con la stessa modalità del “salto alla cavallina”,  ogni concorrente salta sulla scena degli avversari e, una volta sopra ad essa, non devono più toccare con i propri piedi il terreno. Anche qui c’è un ordine di partenza: i più leggeri ed agili saltano per primi cercando di posizionarsi il più vicino possibile “alla mamma”; per ultimi saltano i più corpulenti per fiaccare la resistenza della squadra “te sutta”. Compito tutto questo si verificavano tre differenti casi:

- la squadra “te sutta”, non riuscendo a sopportare il peso, cede facendo cadere quelli “te susu” perdendo così la gara e aggiudicandosi la stessa posizione nella successiva tornata;
- la squadra “te susu”, non ancorati bene sulle spalle degli avversari, toccano con i piedi il terreno e, perdendo, si aggiudicano la postazione penalizzata nella prossima partita;
- entrambi le squadre mantengono la loro posizione predefinita. A questo punto la squadra sovrastante chiede a quella sottostante: “MARE O TERRA”.

A questo punto:

1- se quelli di sotto intuiscono che gli avversari stanno per cedere, risponderanno: “MARE” facendo    così restare sui loro dorsi gli avversari e, così facendo, prolungano la partita con la speranza che il loro fardello cedendo tocchino con i piedi il terreno perdendo così il match;
2- se quelli di sotto intuiscono che gli avversari sono ben ancorati e non cederanno, per non aver inflitto ulteriori sforzi, rispondono: “TERRA” liberandosi del carico ma aggiudicandosi la medesima postazione nell’altra partita.

Antonio D'Ostuni e Francesco De Maglie

Mazza e pizzareddhru

Gioco di gruppo, è uno tra i giochi popolari più antichi; al “Petrie Museum” di Londra è conservato uno strumento di gioco che risale alla XI o XII dinastia Egiziana. In Italia il reperto più importante, risalente al XV secolo ed è custodito dalla  Sovrintendenza Archeologica di Verona.

A seconda delle varie località, il gioco assume svariati nomi: nel nostro leccese “mazza e pizzarieddhru”,  a Venezia "mazza e pindola", a Roma "nizza" o "trillo'  o "lippa", a L'Aquila "ju zirè", a Napoli "a mazza e o' pivezo", ad Agrigento " li mazzi" o "mazza e mazzolo", a Firenze, Verona (in cui ancora oggi ogni anno viene organizzato un torneo) e altre città “la lippa”. Nell’idioma popolare di alcune regioni d'Italia ancora oggi si usa definire "lippare" il marinare la scuola, probabilmente perché si andava poi a giocare a “lippa”. Tale gioco è praticato anche all’estero e ha infinite varianti.  

Nelle nostre zone il gioco si compie mediante due pezzi di legno: LA MAZZA che è un legno di circa 50 cm preferibilmente a sezione rettangolare e LU PIZZARIEDDHRU, bastoncino cilindrico con diametro da 1 a 3 cm ed una lunghezza di circa 10. Le due estremità sono coniche.

Ogni singolo giocatore, partendo da un predefinito punto di tiro, deve colpire con la propria “mazza” un vertice del “pizzarieddhru” precedentemente adagiato a terra facendolo conseguentemente saltare in aria; immediatamente dopo, prima che questi ricada sul suolo, sempre con la “mazza” lo deve ricolpire, questa volta sul lato cilindrico, cercando di farlo atterrare in uno spazio tondo predefinito sul terreno di gioco.

Vince chi riesce a posizionare il suo “pizzarieddhru” più al centro del cerchio o, in assenza di questo, il più lontano dalla linea di tiro.

Antonio D'Ostuni